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Controllo del flare negli obiettivi multicoated degli anni settanta [Autore: Dario Bonazza]

L'introduzione del primo trattamento antiriflettente multistrato da parte di Asahi Pentax, nel 1971, colpì il mercato. I concorrenti reagirono in vari modi, quanto erano validi?

 

Quando nel 1971 Asahi presentò i propri obiettivi Super-Multi-Coated Takumar, vi furono diverse reazioni all’annuncio. Secondo un articolo firmato da Fabio Amodeo e pubblicato nel Settembre del 1972 dalla rivista Photo 13, Nikon dichiarò di adottare già trattamenti multistrato (fino a tre o quattro) su alcune superfici e che l’Asahi stava prendendo in giro i fotografi, dato che non più di cinque strati erano tecnicamente possibili. Canon e Leitz dichiararono che stavano studiando procedimenti simili, ma che sette strati erano ben lungi dall’essere credibili. Al contrario, Fuji sosteneva di essere all’avanguardia, dato che aveva già sviluppato la propria tecnologia EBC (electron-beam coating), che permetteva fino a 11 strati ed era stata impiegata su alcuni obiettivi da cinepresa in occasione delle Olimpiadi del 1964. A seguito del clamore destato dall’annuncio Asahi, Fuji affermò che entro breve avrebbe usato il trattamento EBC sugli obiettivi da fotocamera.

Articoli/a07f01t.jpgCome ho scritto in altre occasioni, Asahi non ha inventato il multicoating, dato che l’ha acquistato da Optical Coatings Laboratories Inc. (OCLI), con base in California. Il merito di Asahi fu quello di capire l’importanza del trattamento antiriflettente, cercare la tecnologia adeguata, sviluppare un proprio processo industriale e metterlo in produzione a costi accettabili. Ciò segnò un giro di boa nell’evoluzione dell’ottica fotografica, permettendo lo sviluppo dei moderni obiettivi zoom ultragrandangolari e con ampia escursione focale. Con la crescente popolarità degli zoom e la loro escursione focale sempre in aumento (cosa che richiede sempre più lenti), il multicoating è diventato importante quasi quanto il vetro al fine di ottenere ottiche di qualità.

Si ritiene che quasi tutti i principali produttori di obiettivi (inclusi Canon, Nikon e Zeiss) pagassero royalties ad Asahi per far uso di parti del processo industriale per stendere sottilissimi strati di composti antiriflesso sugli elementi in vetro a costi accettabili. Come sempre Leica si distinse, dichiarando che il multicoating era di scarso aiuto e che la riduzione del numero di elementi aiutava maggiormente nel controllare il flare. Naturalmente, una volta scaduti i brevetti Asahi sul multicoating, Leica cambiò improvvisamente opinione e, pur con grande ritardo, iniziò ad usare il multicoating come tutti gli altri costruttori.

Dato che la rivendicazione di Asahi secondo cui l’SMC fosse l’innovazione più importante nell’ottica fotografica dai tempi dello sviluppo del Tessar della Carl Zeiss poteva sembrare esagerata, alcuni scettici fotografi e redattori di riviste fotografiche giustamente testarono obiettivi differenti per ricavarne un’opinione documentata. Oggi il trattamento multistrato è dato per scontato da tutti, ed anche il duplicatore o il filtro più economico è multicoated; ad ogni modo credo che uno sguardo più ravvicinato a quei dati possa essere ancora molto interessante.
Come ho già riportato su Spotmatic n° 4 (pagina 5), un test comparativo sul flare (a firma di Maurizio Micci e pubblicato nel 1974 da Fotografare) fra obiettivi Super-Takumar, SMC Takumar ed EBC Fujinon risultò piuttosto sorprendente. Infatti gli SMC Takumar risultarono solo marginalmente superiori ai Super-Takumar, mentre gli EBC Fujinon furono surclassati da entrambe le serie di obiettivi Asahi. La conclusione sbagliata dell’autore fu che il multicoating era praticamente inutile, dato che il trattamento che avrebbe dovuto essere più avanzato (Fuji utilizzava ben 11 strati) arrivò ultimo, mentre gli obsoleti Super-Takumar si classificarono secondi a breve distanza dai vincitori (SMC Takumar). Non per criticare il Sig. Micci, ma ora abbiamo più informazioni e possiamo arrivare ad una conclusione ben diversa. Quello che era solo un mio sospetto quando scrissi l’articolo citato era in realtà già stato confermato ufficialmente da tempo dalla Asahi Opt. Co. (ma all’epoca non lo sapevo): gli obiettivi Super-Takumar di ultima produzione erano già multicoated. Poteva trattarsi di un trattamento ancora sperimentale, forse con meno di sette strati, o magari non applicato a tutte le superfici aria-vetro, per cui non rendeva esattamente come l’SMC definitivo. Cosa dire della scarsa resa degli obiettivi EBC Fujinon? Suppongo che all’epoca Fuji dovette fare in fretta nell’applicazione della tecnologia multicoating, e che il proprio processo non fosse ancora a punto. In effetti alcuni anni più tardi Fuji sviluppò un procedimento migliorato denominato Super EBC, che è ora considerato un eccellente (alcuni dicono il migliore) trattamento per obiettivi fotografici.

Un altro articolo molto interessante che verificava il comportamento degli obiettivi contro il flare, scritto da Norman Goldberg, fu pubblicato nel numero di Dicembre 1973 di Popular Photography. Da quell’articolo è tratta la tabella di riferimento per il flare qui pubblicata.
Ecco come viene eseguito il test secondo le parole del Sig. Goldberg: l’obiettivo è piazzato all’apertura di una sfera cava contenente diverse forti luci. Con la luce che investe il fronte dell’obiettivo da ogni angolo possibile, si usa un fotomoltiplicatore per misurare la luminosità dell’immagine senza dettaglio; questa misura viene considerata pari al 100% del livello di flare. Poi si mette un disco nero, completamente non riflettente, ad un’estremità della sfera di fronte all’obiettivo. Un obiettivo senza flare riprodurrà il bersaglio completamente nero, mentre un obiettivo con un certo flare riprodurrà il bersaglio con un certo livello di grigio. La quantità di luce presente entro l’immagine del disco nero viene misurata dal fotomoltiplicatore ed espressa come percentuale della prima lettura al 100%, completamente bianca.
Nei termini più semplici possibili, il livello di flare di un obiettivo è la percentuale di luce che si insinua nell’immagine di un bersaglio totalmente nero da un campo luminoso circostante di dimensioni infinite.

Goldberg continua riportando che gli obiettivi Asahi 85, 105, 135 e 150mm denotavano lo stesso comportamento, indipendentemente dalla serie considerata: Super-Takumar o SMC Takumar. L’Asahi, interpellata sulla questione, confermava che certi Super-Takumar di ultima produzione erano già trattati col Super-Multi-Coating, ma i barilotti e gli imballi che erano stati impiegati non lo dichiaravano. Per questa ragione la tabella non riporta i dati di 85, 105, 135 e 150mm Super-Takumar, per evitare che i lettori che guardassero solo la tabella senza leggere tutto il testo fossero ingannati dalla non conoscenza di questo fatto.

Abbastanza sorprendentemente, il livello di flare cresce con la chiusura del diaframma di un certo obiettivo ed anche considerando obiettivi differenti si vede come di solito l’obiettivo meno luminoso sia più tendente al flare.

Volendo capire quali siano gli obiettivi migliori, non va dimenticato che si possono paragonare solo obiettivi di pari focale e luminosità, per cui non vanno confrontati ad esempio un 50mm f/1,4 ed un 24mm f/2,8. In ogni caso però diverse percentuali di flare, anche se riferite a diverse lunghezze focali e luminosità, danno un’idea corretta del livello di flare che ci si deve aspettare da un determinato obiettivo. In altre parole, non si può dire "l’SMC Takumar 50mm f/1,4 (0,47%) è migliore del Canon FD 24mm f/2,8 (1,42%)", ma si può però affermare che "l’SMC Takumar 50mm f/1,4 soffre il flare meno del Canon FD 24mm f/2,8".
Quando invece si comparino obiettivi di pari focale e luminosità è invece corretto sostenere che "Per quanto riguarda il flare, l’SMC Takumar 50mm f/1,4 (0,47%) è buono il doppio del Leitz Summilux 50 f/1,4 (0,9%)".

 


Fonti informative: Photo 13 (Settembre 1972), Popular Photography (Dicembre 1973), Fotografare (Luglio 1974).


L'articolo originale è stato pubblicato su SPOTMATIC n°22, Ottobre 1999.





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